| forza di gravità
paranoid park
di Gus Van Sant
Francia/Stati Uniti, 2007
Produzione MK2
1h30
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Il festival di Cannes --è noto, ce ne siamo accorti tutti, ed era forse anche prevedibile...-- per i suoi sessant'anni ha commissionato film di stato, film di rappresentanza, film di autocelebrazione. E ogni regista di stato ha fatto il suo. Ecco qui Paranoid Park, l'emblema del cinema di Gus Van Sant: angeli adolescenti, costanti ed eleganti omaggi a Hitchckock, fotografia fredda, suono trascendente, costruzione narrativa circolare, decostruzione del tempo, priorità del narrativo sul cronologico, essenzialità dei titoli di testa.
E di conseguenza le modalità di gestione del tempo e dello spazio, lo straniamento di una recitazione gelida ed eterea, il gioco di codice del passaggio dal 35mm al super8, il lavoro di sottrazione e smaterializzazione del suono, sfiorano la maniera, diventano a tratti meccanici, quasi si trattasse di una recita: Gus Van Sant recita se stesso dietro la macchina da presa, fissa le sue regole, definisce e chiude il suo cinema. Ma in questa chiusura dimostra la sua genialità: pur accettando l'invito all'autocelebrazione e alla rappresentanza, pur aderendo alla conseguente e ovvia chiusura di qualsiasi possibilità del nuovo, pur sottomettendosi al divieto della creazione, Gus Van Sant dimostra di essere ancora giovane, e di saper sfuggire ancora ai meccanismi istituzionali cui sembra obbedire.
Se Cannes gli ha commissionato, nella chiusura, la ripetizione, Gus Van Sant ha realizzato, nella chiusura, il nuovo: Last Days finiva su un'ascensione del fantasma di Blake, Paranoid Park si apre con il traffico orizzontale di macchine su un ponte.
Nella chiusura, nell'orizzontalità, nella caduta, nel ritorno della forza di gravità Gus Van Sant trova l'originalità e avanza nel suo personale percorso: Blake saliva, leggero, in verticale, fino a uscire dall'inquadratura, e qui la vittima cade sulle rotaie, con tutto il peso del suo corpo. E Hitchckock è ancora il protettore di questo passaggio figurale: gli skate scivolano, tentano costantemente di salire in verticale, si arrampicano su muri, si alzano sulle superfici interne di tubi di cemento, ma ricadono, costantemente, più o meno abilmente. Fino alla caduta del peccato: un colpo di skate e il corpo del vigile cade sulle rotaie per essere tagliato in due; oltre la caduta della colpa: lo skate cade in acqua, precipita nel fiume.
E Hitchckock è ancora il protettore di questa estetica: laddove Larry Clark pone l'accento sulla bruttezza e lo squallore della classe media, Gus Van Sant trova la bellezza, e se condanna gli adulti salva gli adolescenti, lava le loro colpe attraverso le apparenze, i movimenti lenti e aggraziati, le pelli eteree, gli sguardi gelidi, i corpi perfetti e asessuati. Il luna park ovattato, lento e paranoid degli adolescenti gira su se stesso, rifiuta l'esterno, non legge i giornali, dichiara a più riprese di fregarsene della "guerra in iraq": in tale assoluta orizzontalità la salvezza è solo immanente, come dimostra la colonna sonora che ripende fedelmente le musiche di Nino Rota di Amarcord e Giulietta degli spiriti aggiungendo una nota in più di incanto e di meraviglia.
maria guidone
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