| piaf reincarnata
La Môme. La Vie en Rose
di Olivier Dahan
Francia, 2007
Produzione Alain Goldman
2h20
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Berlino quest'anno è stata inaugurata con un film importante, un film che piace al pubblico, che strappa applausi, che commuove, che fa vibrare le corde della sala... delle sale francesi senza dubbio, ma --a vedere le reazioni di Berlino-- anche di quelle tedesche, di quelle svizzere, e speriamo anche di quelle italiane.
Perché La Môme è un vero film popolare: un film pieno di popolo --diceva Klee: no, in quegli anni là (1920-1960), il popolo non mancava, ma traboccava da tutte le parti, furioso, insaziabile...-- e un film per il popolo; ma anche un film che si pone come il coronamento di una tendenza ormai popolare del biopic: La Môme canta un inno alla moda attuale delle biografie di eliminare ogni forma di determinismo, di accellerare il tempo, di confondere i tempi, di spingere la vita in un vortice di eventi, emozioni, persone, casualità, bellezza in cui l'arte non è che un dettaglio, una forzatura. "Je suis une artiste!" urla Edith Piaf come un insulto: la sua arte è un miracolo, sgorga dal suo corpo come una risata, si libera dalla sua vita gratuitamente, facilmente, come la bellezza. L'arte di Edith Piaf è un'arte animale, un'arte vitale, dove non c'è posto per la costruzione, per il lavoro, per la regola, per lo studio; e la vita di Edith Piaf è una vita d'artista, disordinata, estrema, individualista, dove non c'è posto per gli amici, per i sentimenti, per la famiglia, per l'educazione: c'è solo un palcoscenico in cui trionfa l'io nella sua purezza insignificante, cinica, egoista.
La Môme è il vero titolo del film, e non La Vie en rose: perché si racconta il turbine, il disordine, l'euforia e l'egoismo della vita di una môme (una "piccolina", una "bambina") ingenua ma eccentrica esagerata esigente, nei cui giochi il senso del reale scompare per far trionfare il cinismo infantile del "je m'en fous du monde entier", del "tout ça m'est bien égal". Quella che Olivier Dahan racconta non è la vita romantica en rose di una cantante popolare, ma la vita che corre verso la morte di una môme che sposa la spettacolarità del proprio dinamismo naturale --e solo di conseguenza quella della manifestazione della propria arte. Non c'è niente di "rosa" in questa destrutturazione della natura, del fenomeno, della forza, della solitudine di un destino che ha il compito di rappresentare la collettività: in quanto artista per natura la môme è già vecchia (ceca) a nove anni, già sola, già senza madre; e quando muore, a 47 anni, è ormai una nonna. La Vie en Rose non è una romantica storia d'amore, ma la biografia di una vecchia bambina, la storia di un "io" che ha come sola determinazione la forza ("Edith, ora dovrai essere forte" recita la voce chi sta per annunciarle l'incidente d'aereo di Marcel Cerdan) della volontà egoista: non c'è niente di sottile nella sua psicologia, tutto accade allo scoperto, tutto è visibile, tutto è detto, tutto è vissuto e poi dimenticato. Senza rimpianti, senza ricordi, senza pofondità: è una vecchiaia ironica, inumana, senza figli e senza passato.
La discontinuità narrativa --che Mereghetti rimprovera a questo film "soffocato da una ricostruzione invasiva e ridondante, degna di un feuilleton ottocentesco"-- è il grande merito di un biopic che ha lasciato alle sue spalle i giochi del teatro e dello spontaneo, le psicologie facili e le ingenuità melodrammatiche del circolo vita/arte: La Môme è un film profondamentale attuale, una biografia che reiventa il genere, disegnando la sagoma à la Charlot di un'artista disperata consumata dall'alcool, dalla morfina, dal dolore, che riesce a tenere sulle sue gracili spalle --quasi bidimensionali-- la forza vitale di un intero popolo e di una natura che sembra esprimersi in tutta la sua immediatezza e potenza nell'amore tragico per il pugile Marcel Cerdan. E il corpo e la voce, Macel e Edith, non sono destinati a unirsi in una esaltazione vitalistica bensì in un incanto precario, in dei brevissimi momenti che la Vita schiaccia come un solo lungo piano sequenza straziante e sordo --quello che passa dall'illusione della presenza di Marcel alla realtà della sua assenza.
maria guidone
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