| where stars make dreams
Inland Empire
di David Lynch
USA, 2006
Produzione Studio Canal, Camerimage, Asimmetrycal
2h52
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Come un miracolo Lynch è ancora Lynch. E fa di nuovo un film, anche dopo Mullholland Drive. Dopo Mullholland Drive il cinema continua, il vero cinema. Perché INLAND EMPIRE è un film a tutti gli effetti: e si sbaglia chi lo classifica tra le arti plastiche, chi lo definisce una sorta di installazione, chi lo immagina come una sperimentazione di video art... INLAND EMPIRE è un film. Sì, girato in DV: un film girato in DV. E chi vuole si stupisca pure!
E infatti INLAND EMPIRE racconta una storia --ne racconta molte, in verità--, con un preciso ritmo narativo, con una struttura logica e visiva rigidamente rispettata, con un'attenta descrizione dei personaggi, del loro passato, del loro vissuto, con un'organizzazione degli spazi e dei tempi tali da orientare ad ogni svolta della narrazione l'immaginario di chi segue le vicende. Basta seguire la storia, da bravi spettatori...
INLAND EMPIRE racconta una storia, allo stesso modo di tutti gli altri film di Lynch: la storia di un'ossessione, ancora un'ossessione, legata alla vita di coppia, ancora la vita di coppia. E se in Mullholland Drive l'ossessione nasceva da una rottura, INLAND EMPIRE nasce dalla gelosia, dal tradimento. E se in Mullholland Drive era in pericolo la coppia, in INLAND EMPIRE è in pericolo il matrimonio. Ma in entrambi i film --come in tutti i film di Lynch-- all'origine c'è la paura: paura della fine, paura del disastro, paura del disorientamento assoluto; e il motore della storia è: come vivere con la paura? come sopravvivere al disastro? come sopportare l'insopportabile?
Siamo di nuovo a Hollywood --forse Mullholland drive non è mai finito? Del resto INLAND EMPIRE sembra non voler finire mai... sembra rispondere al desiderio di Lynch di prolungare Mullholland drive, di girarlo ancora, di scriverlo ancora, di montarlo ancora...--. Siamo ancora a Hollywood, "Hollywood, California, where stars make dreams and dreams make stars". Così recita ad un microfono un personaggio dai tratti troppo simili a quelli del volto di Lych, a presentare il film, a dare la chiave, ad indicare la strada. Le due strade. Le due strade di Hollywood: Mullholland Drive e la sua perpendicolare, all'incrocio delle quali è segnata la fine della narrazione. Ancora una volta Lych gioca sul due: "stars make dreams" e "dreams make stars": le due facce di Hollywood, quelle che già ci aveva mostrato in Mullholland Drive, dove la prima parte raccontava il normalissimo sogno di una normalissima americana di diventare una normalissima star, e la seconda parte sprofondava invece nel sogno di una star, negli incubi fatti da una vera star. E in INLAND EMPIRE le due facce di Hollywood tornano, ma senza alcuna possibilità di separazione. Perché qui è tutto più asciutto, come la secca fotografia a bassa definizione della DV: questo è l'impero dell'opaco, del sobrio, dove si uccide cou un cacciavite. Non siamo più nelle strade glamour, liriche e romantiche di Mullholland Drive. E il pericolo non nasce dall'amore, dalla passione, il tradimento non ha niente di melodrammatico: in INLAND EMPIRE non è il colpo di fulmine a far paura, non è la sensualità estrema a far crollare tutto, ma un misero flirt, prevedibile, programmato, squallido, secco.
INLAND EMPIRE è una storia, come tutte le altre, forse più bella. Una storia che si racconta in modo nuovo, non lasciando che le scene si succedano e che le situazioni vengano provocate, ma permettendo agli strati, ai personaggi, alle maschere, ai tempi e agli spazi di sovrapporsi, di fondersi, di incontrarsi in un unico e stesso terrore.
maria guidone
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