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Coda di lupo
(Fabrizio De Andrè)
Quando ero piccolo
m'innamoravo di tutto,
correvo dietro ai cani.
E, da marzo a febbraio, mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi,
sui fatti miei, sui fatti tuoi.
"E al dio degli inglesi non credere mai!"
E, quando avevo duecento lune
(e forse qualcuna di troppo),
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo,
cambiai il mio nome in "Coda di lupo",
cambiai il mio pony con un cavallo muto.
"E al loro dio perdente non credere mai!"
E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa,
crocifisso con forchette che si usano a cena,
era sporco e pulito di sangue e di crema.
"E al loro dio goloso non credere mai!
E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente,
possedevo una spranga un cappello e una fionda,
e una notte di gala, con un sasso a punta,
uccisi uno smoking e glielo rubai.
"E al dio della Scala non credere mai!"
Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte,
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine,
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso:
"Per la caccia al bisonte - disse - Il numero è chiuso".
"E a un dio a lieto fine non credere mai!"
Ed ero già vecchio quando vicino a Roma, a Little Big Horn,
capelli corti, Generale, ci parlò all'università
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce,
ma non fumammo con lui, non era venuto in pace.
"E a un dio fatti il culo non credere mai!"
E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo,
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa,
che ho imparato a pescare con le bombe a mano,
che mi hanno scolpito in lacrime sull'Arco di Traiano,
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia,
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria.
"E a un dio, e a un dio, e a un dio, e a un dio,
e a un dio senza fiato non credere mai!"
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