liberi anacronismi

Marie Antoinette
di Sofia Coppola
Stati Uniti, 2006
Produzione F. Coppola, S. Coppola, R. Katz, P. Rassam
2h00

Musica rock, overdose di pasticcini, pioggia di fiches colorate, titoli in fucsia, parrucche, scarpe, vestiti... tutto è di plastica, tutto profuma di nuovo, tutto è carico di hollywood, tutti parlano in inglese o in francese con l'accento californiano, eppure tutto si ambienta a Versailles, tutto è credibile, sottile, realistico, autentico. Kristen Dunst ha 35 anni, Marie Antoinette ne aveva 14; un paio di scarpe da ginnastica "converse" compare tra i costumi settecenteschi; i mobili dorati, lucidati, rosa, verde acido, abitano il palazzo di Versailles; le scene di caccia si animano di musica rock. Sofia Coppola crea un'opera perfetta, un gioco in cui ognuno deve cercare di ricordare come immaginava la storia mentre la studiava a scuola... o meglio, come avrebbe voluto immaginarla.
Perché è ancora di banchi di scuola, di amori adolescenziali, di feste in maschera tra ragazzini che Sofia Coppola parla in questo film. L'eroina è un'adolescente (e molte adolescenti a 14 anni ne dimostrano già 35!), non sa niente del mondo, ma sa vedere qualcosa del mondo, esattamente come ne Il giardino delle vergini suicide, come in Lost in translation: il miracolo di quei due film si ripete in questo, a dimostrazione dle fatto che Sofia Coppola è una cineasta eccellente. Come tutti i personaggi di Sofia Copola, Marie Antoinette è una bambina -a 35 anni ancora una bambina- che vive nell'angoscia di non riuscire a trovare un posto nel mondo: e senza nessun anacronismo psicologico questa paura si concretizza semplicemente nella difficoltà di convincere suo marito ad avere rapporti sessuali con lei, almeno una volta, giusto per dare un erede al trono di Francia.
Americana in Europa, Austriaca in Francia, Marie Antoinette rappresenta l'adolescenza assoluta in un mondo di adulti: non ancora in accordo con il suo corpo, è profondamente libera... libera di vestirsi in maschera e scappare da Versailles, di prendersi gioco degli usi rispettandone i formalismi, di dare eredi alla Francia pur essendo innamorata del più bel ragazzo presente al ballo, libera di annoiarsi nella vita di corte, di abbandonarsi ad una natura ideologizzata mentre il popolo muore di fame. Ed è infatti grazie a questa libertà che la regista metterà in scena la sequenza centrale del film, quella del ballo, in cui Marie Antoinette è una maschera come tutte le altre, senza identità, lontana da casa, dal suo nome, dalla sua appartenenza: tutte le carte si rimescolano, tutto rischia di crollare, Marie Antoinette capisce che l'importante non è ispirare il desiderio, ma desiderare. Un rovesciamento sottile, elegante, che non è un accesso al regno degli adulti, ma un appropriarsi, da parte dell'adolescente, di meccanismi adulti... quasi un furto.
Sofia Coppola è radicale: il suo film non è in nessun modo un divertimento kitsc, ma l'espressione estrema della rabbia e dell'angoscia verso il passato, verso gli adulti, verso -probabilmente- il cinema dei padri, il cinema degli uomini. Il progetto era una sfida: alla realtà presente, all'immaginario attuale nei confronti della Storia e nei confronti di tutte le grosse produzioni cinematografiche. Sofia Coppola l'ha vinta, perché il suo film è carico di una vitalità e di una freschezza che scuotono, incantano e interrogano il ruolo e le potenzialità di una femminilità non adulta capace di dare leggerezza, raffinatezza, slancio e ludicità al regno dell'immagine.

maria guidone