- Recensioni Film chiavediSvolta Into the wild

ma non sarai mica gesù?

Into the wild
di Sean Penn
USA, 2007
Produzione Sean Penn, Art Linson, Bill Pohlad
2h29

Il nuovo lavoro di Sean Penn è innanzitutto la dichiarazione della scoperta di un nuovo modo di filmare la natura, i paesaggi americani, gli spazi grandi e deserti. Innanzitutto Sean Penn ribadisce quello che tutta la storia del cinema ha sempre affermato: questi spazi hanno bisogno di tempo, di tanto tempo e di una storia, una storia lunga quanto una vita almeno. E Non è un Paese per vecchi dei fratelli Cohen sembra ripeterlo ancora una volta, negli stessi giorni in sala. E subito dopo, Sean Penn, insieme al direttore della fotografia Eric Gautier, inizia a reinventare il modo di filmare la natura: senza illusioni, senza fiducia nell'avvenire, senza alcuno spirito di conquista. Con un po' troppo estetismo. Con qualche punta di eccessiva metafisica e senza alcun cinismo. Con estrema sensibilità, con coraggioso metodo. Con tanti libri e in solitudine.

Non c'è ingenuità, assolutamente. Le scelte di vita sono fondate, concrete, anche se estreme. I dolori e gli entusiasmi sono sentiti sulla pelle, sono fisici, reali e tanto forti da determinare le scelte di vita. E se sono fatti di inchiostro, se sono letteratura, è solo per la loro bellezza ed eleganza, mai per l'ingenuità di chi li vive, li legge o li scrive. Come la morte finale, annunciata dai caratteri di un libro. E irrimediabilmente reale. Non c'è nessun destino nella morte di Into the wild, e non c'è nessuna metafisica. Semplicemente quella morte sta ad indicare l'effettività concreta, spaziale e temporale, delle diverse scelte di vita. Filmare i grandi spazi americani significa infatti per Sean Penn innanzitutto collocare spazialmente e temporalmente le diverse scelte di vita e togliere loro ogni tipo di ingenuità: i figli dei fiori anni che dagli anni '60 hanno creato nuove tipologie di famiglia nei paradisi terrestri lontani dalla civiltà, i barboni che abitano le notti delle periferie di città, i viaggiatori della nuova generazione che non parlano la stessa lingua e mangiano hot dog dai colori fosforescenti, i vecchi soli chiusi tra le mura domestiche dei loro hobby e ricordi... Tutte le scelte di vita rimangono alle spalle del protagonista e piangono per la sua partenza. Le scelte vorrebbero trattenerlo, vorrebbero arrestare il suo viaggio, la sua lotta. Le scelte gli chiedono un perdono, una rinuncia. Ma la sua scelta, la sua realtà è l'Alaska, la solitudine, è l'utopia dell'it et nunc, l'assoluto, l'estremo.

"Per essere felici bisogna essere in due". Perché ci sia il cinema bisogna essere in due. E nei momeni più intensi il personaggio guarda in macchina e sorride a Sean Penn che è l'operatore di macchina.

maria guidone