CONSIDERAZIONI DOPO LO SGOMBERO E LA DEMOLIZIONE DELL'UNGDOMSHUSET


di Emiliano Laurenzi

La vicenda dello sgombero e della distruzione, a Copenhagen, in Danimarca, della Casa dei Giovani (l’Ungdomshuset), pone con forza tre quesiti fondamentali per poter continuare a parlare di libertà d’espressione politica e sociale, e di lotta alle attività repressive dello stato ed ai suoi mandanti economici e/o moralistico religiosi.

Il primo è sulla possibilità e sulla necessità di poter difendere luoghi di aggregazione sociale che non siano sempre e comunque assimilabili al mercato ed alle logiche di asservimento del territorio alla speculazione edilizia. Detta così sembra una petizione di principio astratta, ma alla luce di quanto è accaduto nella capitale danese, non lo è affatto. Soprattutto perché contro questa possibilità e necessità assieme, c’è chi ha le idee ben chiare, e non esita ad utilizzare la polizia, ad arrestare, picchiare, demolire.

Il secondo è relativo al grado di legittimazione che le azioni come quelle intraprese dalla polizia danese debbano e possano avere. Non ci si deve far irretire dentro la trappola del gioco sociale regolato dalle leggi. Criminalizzare persone e luoghi in spregio totale alla loro storia ed alla loro attività – non definibile criminale neanche coi criteri più fantasiosi… – significa provare a ridurre qualsiasi forma di alterità con la forza, dietro il paravento di leggi utili solo a difendere gli interessi degli speculatori di turno. Contro questo tentativo occorre creare forme di lotta che non si pieghino e radicalizzino il conflitto.

Il terzo quesito è sulla legittimità di difendere il proprio diritto a vivere il territorio contro gli interessi economici di ben individuabili lobbies – nel caso specifico dell’Ungdomshuset, la setta fondamentalista cattolica Faderhuset (la casa del Padre), molto ricca e con buone entrature ed agganci nell’attuale governo danese, oltre agli speculatori edilizi. Questo diritto va affermato e difeso, quando occorre, nella maniera più radicale possibile. Senza farsi intimidire. Abdicare su questo punto, piegarsi a combattere battaglie su diritti fondamentali, come quello di aggregazione, attraverso le carte bollate, è farsi togliere del tutto anche solo la possibilità di decidere del proprio territorio e sulle forme con cui viverlo.

Mentre i media broadcasting tradizionali – giornali e televisioni – diffondevano la solita triste e trita tiritera sul centro sociale occupato dagli squatters e riconsegnato alla cittadinanza perbene dalle forze dell’ordine, ovunque su internet erano reperibili immagini, notizie ed informazioni dalle quali il quadro del fatto emergeva in una luce ben diversa. Una luce che parla della brutalità e della tristezza dei nostri tempi.

Quello non era un edificio qualsiasi e le ragioni per cui è stato sgomberato ed abbattuto non sono di ordine pubblico. A dare palese testimonianza del carattere di eccezionalità che rivestiva per il governo danese la questione dell’Ungdomshuset, stanno una montagna di dettagli: la pianificazione dello sgombero secondo strombazzate tecniche antiterrorismo; l’arresto in massa di dimostranti, senza processo e senza incriminazione; la richiesta d’aiuto alle altre polizie del continente; la chiusura delle frontiere per impedire le manifestazioni di solidarietà e di rivolta. Per un semplice sgombero non si va incontro a questi disordini, né si sopporta di portare sul filo dell’inconsistenza anche le illusorie garanzie democratiche.

Il capo della setta fondamentalista cattolica a cui il comune di Copenhagen ha voluto vendere Ungdomshuset, una certa Ruth Evens, disse perfino che Dio le era apparso in sogno dicendole di «comprare Ungdomshuset e di sbarazzarsi dei giovani, per poter combattere i mussulmani che si stanno impossessando di Copenhagen e di scendere in campo contro l'omosessualità».

Di fronte a queste dichiarazioni sensate, ispirate al raziocinio e soprattutto volte alla tolleranza ed alla diffusione di un modo di vita pacifico (si sente il rumore di unghie sulla lavagna?) a nulla sono valsi venticinque anni di autogestione, di pasti dati ai poveri della città, di concerti, di elaborazione di un differente modello di socialità, di una storia che aveva ormai più di un secolo. Già, perché quell’edificio non era un centro sociale qualsiasi, ed era qualcosa in più di un centro sociale. A seguire la sintesi della sua storia, tratta dal sito noglobal:

« 7 marzo 2007
L'edificio che ospitava l'Ungdomshuset (casa dei giovani), centro sociale autogestito sin dal 1982, è stato definitivamente abbattuto martedì 6 marzo.
Sito in via Jatveig 69 fu costruito nel 1897 dal sindacato dei lavoratori, ed è stato da sempre teatro di grandi avvenimenti e cambiamenti politico-sociali: Il palazzo, originariamente chiamato Folkets Hus (Casa del Popolo) venne eretto dal movimento operaio internazionale. Fu lì che nel 1910 la Seconda Internazionale e Clara Zetkin proclamarono l'8 marzo la giornata internazionale di lotta delle donne. Anche Vladimir Lenin e Rosa Luxemburg tennero conferenze nella Casa e la grande manifestazione del 1918 contro la disoccupazione che giunse a occupare la borsa danese partì proprio da lì. Dopo la seconda guerra mondiale, la Casa fu usata per ospitare profughi tedeschi, ma a mano a mano che il tessuto socialista mutava, venne sempre più lasciata a se stessa fino a essere definitivamente abbandonata negli anni '60. Rimase chiusa fino al 1982 quando, all'interno della campagna per un centro sociale autogestito a Copenhagen, è stata occupata da un gruppo di giovani del quartiere.
Dal 1982 una convenzione tra il municipio di Copenaghen e i giovani del quartiere Nørrebro affidò a questi ultimi la gestione del posto a tempo indeterminato. Nonostante ciò il consiglio cittadino decise nel 1999 di mettere all'asta l'edificio, vendendolo alla Human A/S, società la cui quota azionaria venne presto rilevata da Faderhuset, congrega ultracattolica che fa riferimento all'ala politica dell'estrema destra. Ovviamente gli occupanti si rifiutarono di abbandonare l'edificio e questo rifiuto si tradusse nel 2003 in un duplice processo giudiziario tra gli occupanti, Faderhuset e la municipalità, rea di aver violato l'accordo preesistente. Dopo due sentenze favorevoli agli ultracattolici, nel 2006 il tribunale danese ha deciso di impedire agli attivisti di Ungdomshuset il ricorso alla Corte Suprema poiché a causa della loro politica di autogestione priva di strutture gerarchiche non potevano essere riconosciuti come organizzazione(!!!).
Giovedì 1 marzo 2007, la polizia danese in assetto da guerra ha sgomberato l'edificio per consegnarlo agli speculatori di Faderhuset che già avevano rifiutato un'offerta di 2 milioni di euro dell'associazione Jatveig 69, intenta a restituire il palazzo ai giovani di Nørrebro. Le proteste per l'accaduto sono sfociate nella rivolta dei giovani di Copenaghen per le strade della città, migliaia di persone sono scese in piazza per mostrare solidarietà e dissenso e rabbia contro l'attacco dei poteri forti a una delle più grandi e meglio riuscite esperienze di autogestione del paese; autogestione fuori dai dettami e dalle regole del mercato e del profitto, che negli anni è diventata motivo di aggregazione e d'incontro per molti giovani della capitale danese ed europei. Infatti circa la metà dei 600 attivisti e dimostranti arrestati nelle strade di Copenaghen durante gli scontri erano tedeschi, francesi, italiani, svedesi, norvegesi... numerose sono state le dimostrazioni di solidarietà nelle città d'Europa, Russia, Israele e Australia dove i consolati danesi sono stati oggetto di proteste e occupazioni simboliche.»

Si trattava dunque di un edificio con una lunga memoria storica, simbolo di lotte passate e dell’elaborazione presente di differenti modelli di vita, di una cultura non omologata a quella imperante. Non era insomma il solito baraccone pieno di parassiti, drogati e sovversivi che l’informazione addomesticata e servile ci propina, bensì un punto di riferimento per una cultura che ha il dovere ed il diritto di potersi esprimere. E che si è voluto zittire ed umiliare.

Dietro a questa violenza ed a questa cieca determinazione non c’è infatti alcun alibi relativo all’ordine pubblico od all’espropriazione. L’edificio infatti era stato concesso ai giovani del quartiere a tempo indefinito: nel 1982 l'allora sindaco, Egon Weidekamp, consegnò lo stabile ai giovani con le parole: «Loro si prendono la casa, e noi otteniamo un po’ di pace». Poi l'amministrazione comunale di Copenhagen ha fatto marcia indietro ed ha venduto ad altri ciò che aveva concesso. La Casa dei Giovani, nel frattempo, ospitava artisti che di lì a poco sarebbero divenuti famosissimi: Björk e Nick Cave, ma anche i Green Day. Ma alla fine le ragioni di una politica assurda hanno prevalso. Nel 1999 i socialdemocratici (Copenhagen è governata da 106 anni dai socialdemocratici) votarono assieme alla destra, per la vendita. Motivazione ufficiale? Disse un assessore: «Il prezzo che chiediamo è basso, ma ci stiamo sbarazzando di un problema.» Dunque si tratta di un problema, ma non di ordine pubblico. Si tratta di stroncare un modello culturale che non si è piegato alle politiche di restaurazione e xenofobia lanciate dall'attuale governo danese. Una ricostruzione politica dettagliata di quanto accaduto la si può trovare sul sito di Rifondazione Comunista, alla pagina della La Casa dei Giovani e la rivolta di Copenhagen.

L’attuale governo danese è infatti un governo di cui è alleato un partito di estrema destra – il Dansk Folkparti (Partito del popolo danese) che si attesta su posizioni indifendibili anche dal più scialbo ordinamento democratico. L’elemento più violento ed esagitato di questo partito è una tal Pia Kjaersgaard, che si vanta di cambiare marciapiede quando incontra un immigrato, e che ha detto: «Bisogna dichiarare la guerra santa contro i fondamentalisti islamici». Il 12% dei danesi vota il suo partito, ed è questa Danimarca populista e razzista che ha dato forza alla brutale decisone di spazzare via l’Ungdomshuset e quel che rappresentava, per far posto alla sede di una chiesa fondamentalista, settaria, sessuofoba e razzista.

Ma c’è un ulteriore elemento che si nasconde dietro questa vicenda sulla quale dobbiamo misurare la nostra capacità di proposizione e di difesa dalle aggressioni dei fondamentalisti cristiani di ogni sorta e dalla violenza di chi si china ai diktat del capitalismo postmoderno. Questo elemento è la banale speculazione edilizia. Già, un vizietto da Roma palazzinara in salsa danese… Il quartiere dove si trovava la Casa dei Giovani, infatti, è un quartiere del centro della città. Un quartiere che fa gola agli speculatori edilizi. E lo sgombero dell’Ungdomshuset, in questo senso, può essere letto, senza molti problemi, come una prova generale per aggredire una roccaforte ben più grande, longeva e famosa: Christiania, lo “stato libero” che si estende su diversi Km quadrati al centro di una delle zone più belle di Copenhagen. Ho già parlato - Vogliono far chiudere Christiania!- di questo esperimento sociale, da tempo sogguardato con ostilità dagli speculatori edilizi, avidi di farlo sbaraccare in nome della libera speculazione e del grasso profitto. Dunque non solo politiche liberticide, non solo fondamentalismo religioso, ma anche, più triviale e terra terra, la solita speculazione edilizia, il mattone che rende, il desiderio di umiliare territori e persone sotto la macina del profitto. Che assume le forme detestabili dei quartieri residenziali, delle villette a schiera, dei quartieri pieni di praticelli e centri commerciali, cittadelle ipersorvegliate dove i ricchi si rinchiudono.

Cosa possiamo fare? Un segnale importante della mobilitazione che ha scatenato questa aggressione lo si è avuto con il massiccio arrivo di simpatizzanti ed attivisti da tutta Europa, un afflusso così massiccio da obbligare il governo danese a chiedere aiuto alle polizie di mezza Europa (Svezia, Olanda e Germania). La reazione della cittadinanza giovane di Copenhagen è stata così trasversale, estesa, e multiculturale (si sono uniti anche gli immigrati), e così violenta, che gli stessi organizzatori se ne sono sorpresi. Alla polizia ci sono voluti tre giorni di scontri metropolitani per riportare la calma. Un altro segnale è stata la manifestazione di solidarietà che si è tenuta a Berlino, una manifestazione imponente a cui la polizia ha di nuovo reagito, ancora una volta dimostrando impotenza e paura, con gli arresti, le cariche per disperdere il corteo, i lacrimogeni ed i manganelli. Già aver dato queste manifestazioni di solidarietà, ed averlo fatto in forme così forti da costringere l’aggressore a difendersi, è un passo importante. Lo sarà ancora di più, in futuro, marcare soglie non oltrepassabili oltre le quali non si potrà più parlare semplicemente della violazione dei propri diritti, ma esplicitamente, e con atti concreti, di difesa dall’aggressione fascista condotta dagli apparati statali, attraverso lo strumento delle forze dell’ordine e dietro alibi inconsistenti che nascondono motivazioni economiche e moralistiche indegne di una società civile. Motivazioni che traducono in azioni spregevoli pensieri e culture spregevoli.

Le forme con cui bisogna iniziare a pensare di articolare la propria difesa, e all’occorrenza i propri attacchi, è uno degli snodi non solo pratici, ma anche teorici, di una riflessione su quanto è accaduto ad un luogo così denso di storia come la Casa dei Giovani. Sarebbe ad esempio auspicabile che si desse inizio ad una campagna contro la setta che si è fatta interprete di questo marciume sociale e politico – il cui sito è faderhuset.org. Non si deve averer alcuna vergogna, né timore, né tantomeno remore, nell'organizzare atti ostili verso queste congreghe di fanatici violenti. Impedire la costruzione della loro sede, proprio sulle macerie dell'Ungdomshuset, sarebbe solo un primo passo. Allo stesso tempo occorre che il discorso sugli spazi socialmente gestiti venga estratto dalle secche della controcultura per riaffermare invece i diritti civili alla gestione del territorio. Il protagonismo nella gestione della cosa pubblica, l’iniziativa anche illegale volta a riaffermare la non cedibilità della sovranità sul territorio, sovranità che non appartiene al capitale, ma alla popolazione. E la volontà e la disponibilità a non cedere alle intimidazioni poliziesche né alla retorica populista che ha gioco facile nel rifocalizzare contro i rifugiati e gli immigrati i timori e le ansie delle popolazioni. Timori ed ansie dovute alla percezione della violenza insita nel sistema capitalistico contemporaneo, in cui qualsiasi legame solidaristico è stato infranto, ed in cui l’individuo è solo difronte a sfide spesso impossibili, sempre assolutamente non necessarie.

L'offensiva portata contro la cultura della libertà, della tolleranza, dell'autogestione e della differenza culturale, è stata chiara, esplicita, violenta, determinata e impietosa. Occorre rispondere con determinazione, costanza e forza a queste aggressioni, ribadendo la volontà di praticare, vivere ed affermare sul territorio e nella società i propri valori, le proprie scelte, le proprie idee. Al G8 che si terrà in Germania si potrebbe ricominciare proprio da qui: «Come smettere di subire? Come iniziare ad agire?»

Siti che parlano e mostrano dello sgombero, degli scontri, della demolizione, delle reazioni, delle analisi:
anatchopedia ainfos globalproject tmcrew bloggers youtube informa-azioneg informa-azione technorati autistici youtube youtube youtube globalproject wikipedia tmcrew glomeda socialpress tutto.squat prue chainworkers chainworkers autistici indymedia indymedia autistici acrobax sudmilano acrobax glomeda socialpress socialpress rifondazione triburibelli noglobal radiovostok liberisubito profile sergiofalcone ubiklab pmli csa-kontatto indymedia amorphine picasaweb picasaweb dirittiglobali spalalacqua cstpo mail-archive shardhack lernesto smendock oulaya bloggers del.icio espresso